HO LETTO, HO ASCOLTATO...
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Ciacio
Sergio
Sandro
7 partecipanti
Istituto Tecnico Nautico Tomaso di Savoia Duca di Genova di Trieste :: Ex Studenti :: 5a Capitani 73 - 74 and friends :: Off Topic Friends
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Affascinante e concupiscente
Lègger Genio xè sempre ‘ssài intrigante , specialmente quando l’amàlgama i pensieri dei filosofi marzi con i propri , sotto el sòl de agosto con temperature proibitive anche per un beduìn .
Ebbene , nonostante la calura , Sandro gà estrapolà la sintesi della natura umana da un libro de Freud , riuscindo ad illuminarme sui motivi del mio morboso attaccamento a Tex Willer e a Sandokan!
Lassèmo stàr Schopenhauer con i porcospini che xè un’argomento sù cui né erudirà certamente l’ormai sessantenne Peter , lassemo stàr Nietzsche che non xè mai stà una gran bella figura e che podessi vergognarse ancora adesso per certi comportamenti , concentremose su quel che gà colpì el ns. pivot …......Freud , quando el spiega dei rapporti degli inferiori con el capobranco .
Comincemo con Tex Willer :
Alto un metro e ottantacinque , razza bianca , fisico da medio-massimo , da sempre e per sempre quarantacinquenne , velocissimo nella lotta corpo a corpo , karatè , judò , kung fu , dedi nei oci e ancora più svelto con le pistole , el winchester e la dinamite.
Una certa rassomiglianza con un divo de Hollywood …quindi …belloccio .
Cosideremo anche la sua condiziòn sociale : ex fuorilegge , ranger del Texas , capo della naziòn Navajo ( Aquila della Notte) , ottimo cavallerizzo , vedovo , sempre pièn de soldi e mai imbriago .
Adesso andemo a vèder el branco :
Tiger Jack , indiàn con piuma sulla testa (America ..no India !) quindi razza pellerossa e zà quà…. el perdi punti .
Solo da qualche anno el sé esprimi in maniera comprensibile , el cavalca senza sella e ogni volta che i suoi amici và a bèver qualcossa , lui stà fora de guardia, un poco per spender de meno e un poco perché Tex sé vergogna de portarselo drìo .
Secondo mì , lui volessi tirase fora dalla banda e magari fàr el mangiatore di fuoco , ma el legame de amor libidico e de iperstima verso el supertex lo obbliga a restar vizìn ad Aquila della Notte considerando che xè un gran culo viver alle spalle de cotanto eroe avendo l’epidermide amaranto.
Freccia Rossa , el capo dei Navajo che voleva fàr persutti con Tex ma lo gà risparmià perché sua fìa Lilyth gà notà un grosso rigonfiamento all’altezza dell’inguine del prigioniero e subito dopo averlo grazià…. sé lo gà sposà .
Quà ..non centra tanto Freud ,… magari forsi de più Nietzsche….., comunque xé la prova che per esser accettà dal gruppo (o parte di esso ) necessita un affàr de dimensioni notevoli ...o che almeno sè fà notàr !
Kit Willer , erede del capobranco , sempre adolescente ma con i caratteri somatici del nonno rosso e del babbo bianco , un mistomare con l’abilità nella lotta e nell’uso delle armi quasi pari a Tex ma sempre due passi indrio …
El giovine non matura mai e quindi non raggiungerà in alcun modo le dimensioni del papà …e quà ..Freud ….non perdona !
Kit Carson , l’unico della congrega che gà el vizio de inveciàr !
Da sempre el più anziàn del gruppo el segui le avventure con disagio e sofferenza , el suo sogno sarìa stàr in una casa de campagna su una sedia a dondolo
Personaggio distante da Freud e da Nietzsche , forsi più adatto a Schopenhauer , ma come già detto sù Schopenhauer non mè pronuncio .
Xè l’una , son reduce da una sortita in terra straniera e xè ora che mè metto in branda .
Sandokan lo riesumerò quando Sandro né parlerà de Siddharta
Ciacio- Moderatore
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Re: HO LETTO, HO ASCOLTATO...
La capacità de sintesi non xe mi stada una mia qualità (in realtà ne go ben poche ma non speta a mi esprimerme in 'sto senso, el mio ego ne rimarria distruto); inveze el padre eterno, buddha o allah ga assegnà questa dote al buon Giordano che dipingendo, con la solita maestria, i personaggi del lontano ovest ga sublimado quei quattro concetti che con grande difficoltà go zercà de raccontarve qui sopra.
Un intervento che completa el senso.
Non xe ancora l'una e son reduce da un gireto per far cagar el can (possibilmente davanti al porton de Luzzato Fegiz) ma non intendo approfondir el secondo testo che gavevo in mente (Lezioni spirituali per giovani samurai) in quanto merita un po più de impegno.
Siddharta lo lasserò per penultimo come se fa per i bocconi speciali quindi anche el buon Sandokan doverà aspettar.
Aggiungerò solo che "la dottrina Zen del vuoto mentale" xe illeggibile e come ga supposto Cicio, Suzuki iera meio che continuava a far motorette
Un intervento che completa el senso.
Non xe ancora l'una e son reduce da un gireto per far cagar el can (possibilmente davanti al porton de Luzzato Fegiz) ma non intendo approfondir el secondo testo che gavevo in mente (Lezioni spirituali per giovani samurai) in quanto merita un po più de impegno.
Siddharta lo lasserò per penultimo come se fa per i bocconi speciali quindi anche el buon Sandokan doverà aspettar.
Aggiungerò solo che "la dottrina Zen del vuoto mentale" xe illeggibile e come ga supposto Cicio, Suzuki iera meio che continuava a far motorette
Sandro- 1° Maresciallo
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Mishima
Il primo libro letto nel ritiro ferragostano è stato: LEZIONI SPIRITUALI PER GIOVANI SAMURAI di Yukio Mishima.
Tale scelta era dovuta in quanto mi era stato consigliato da mio figlio il quale affermava, porgendomelo, di averlo letto e di averlo trovato interessante.
Ora, il fatto che lo stato del volumetto fosse intonso, lasciava pensare che le parole del prodigo non fossero propriamente rispondenti al vero, la lettura poi del contenuto ha confermato i dubbi; ciò nonostante l’amore filiale mi ha spinto a rispettare sia le sue dichiarazioni che l’impegno di leggerlo.
Forse i più attenti e pronti ricordano chi è stato Mishima. Uno dei più noti scrittori giapponesi, sia per i suoi scritti che per la vita che ha condotto. Definito da Moravia un conservatore decadente è considerato, molto più banalmente, un nazionalista e fascista. Vive la sua maturità anagrafica e letteraria nel momento in cui (fine anni '60) i giovani di tutto il mondo si ribellano ad una cultura conservatrice, benpensante e bigotta mentre la sua nazione, il Giappone, non accenna a risollevarsi dal pantano in cui una macilenta cultura orientale l’ha gettato, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale.
Chi ha avuto la fortuna o sfortuna di visitare quel paese, ancora oggi può percepire un senso di prostrazione che tutti i giapponesi sembrano avere nei confronti degli occidentali ed in particolare degli americani che in anni di “gestione e sottomissione del territorio” hanno lasciato più che evidenti tracce del loro passaggio, soprattutto genetiche.
Mishima vive questo stato con assoluto malessere; lui, scrittore, incolpa i suoi colleghi di non fare nulla per spingere i gipponesi verso quella rivolta che porti ad una nova dignità nazionale.
Nella prima parte del libro analizza la vita, la politica, l’arte, il galateo, l’abbigliamento e altri numerosi aspetti della società così come si sviluppano nel suo paese. È un’analisi cruda, spesso impietosa che evidenzia la rassegnazione del suo popolo, la incapacità del governo e la mollezza di una borghesia illuminata. Spesso paragona lo stato delle cose e i sentimenti dei suoi connazionali con l’epoca dei Samurai. Uomini fieri, senza paura della morte che anteponevano l’onore a qualsiasi altro nobile sentimento. “Una spada da Samurai, una volta sguainata, non può essere rinfoderata senza aver ucciso, altrimenti la si offende”.
Nella seconda parte del volume Mishima scrive dei veri e propri trattati che individuano nella guerra e nello sport gli unici ambiti in cui prende corpo “l’AZIONE”. Nello sport essa è fine a se stessa e si sublima nel gesto sportivo in cui edonismo e forza fisica si fondono per un godimento personale. Nella guerra invece l’azione trova, per lo scrittore, la sua più alta espressione nel gesto che precede la morte; morte raggiunta in nome della patria ed a salvaguardia del proprio onore.
L'autore non accetta il fatto che il suo paese possegga solo un “esercito di difesa” come imposto dalle forze alleate durante i trattati di pace sottoscritti dopo la fine della guerra. Con i soldi guadagnati dalla vendita dei suoi libri fonda un piccolo esercito di 100 giovani votati all'azione (Associazione degli Scudi) che riesce ad addestrare in strutture militari, durante frequenti stage, con il permesso dello stato maggiore dell’esercito.
Il libro si conclude con un proclama; Mishima leggerà il testo in diretta televisiva dopo aver occupato, con un manipolo dei suoi più coraggiosi accoliti, il ministero della difesa e poco prima di aprirsi il ventre con una lama e farsi decapitare da un giovane membro dell’Associazione (tra l'altro amche suo amante), come nella più rigorosa e antica tradizione Samurai.
Un testo, dal mio punto di vista, strano, a volte delirante ma anche testimone del decadimento di una società (non solo giapponese) cieca e ottusa rispetto ai valori etici, e che ancor oggi non sembra aver raggiunto il fondo. L’universalità di parte dei contenuti va ricercata invece in alcuni concetti che, aldilà delle ideologie politiche e religiose, rappresentano , a mio avviso, la dottrina di ogni movimento integralista e terrorista che abbia preso corpo sulla faccia della terra.
Chissà se mio figlio l’ha letto veramente?
Tale scelta era dovuta in quanto mi era stato consigliato da mio figlio il quale affermava, porgendomelo, di averlo letto e di averlo trovato interessante.
Ora, il fatto che lo stato del volumetto fosse intonso, lasciava pensare che le parole del prodigo non fossero propriamente rispondenti al vero, la lettura poi del contenuto ha confermato i dubbi; ciò nonostante l’amore filiale mi ha spinto a rispettare sia le sue dichiarazioni che l’impegno di leggerlo.
Forse i più attenti e pronti ricordano chi è stato Mishima. Uno dei più noti scrittori giapponesi, sia per i suoi scritti che per la vita che ha condotto. Definito da Moravia un conservatore decadente è considerato, molto più banalmente, un nazionalista e fascista. Vive la sua maturità anagrafica e letteraria nel momento in cui (fine anni '60) i giovani di tutto il mondo si ribellano ad una cultura conservatrice, benpensante e bigotta mentre la sua nazione, il Giappone, non accenna a risollevarsi dal pantano in cui una macilenta cultura orientale l’ha gettato, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale.
Chi ha avuto la fortuna o sfortuna di visitare quel paese, ancora oggi può percepire un senso di prostrazione che tutti i giapponesi sembrano avere nei confronti degli occidentali ed in particolare degli americani che in anni di “gestione e sottomissione del territorio” hanno lasciato più che evidenti tracce del loro passaggio, soprattutto genetiche.
Mishima vive questo stato con assoluto malessere; lui, scrittore, incolpa i suoi colleghi di non fare nulla per spingere i gipponesi verso quella rivolta che porti ad una nova dignità nazionale.
Nella prima parte del libro analizza la vita, la politica, l’arte, il galateo, l’abbigliamento e altri numerosi aspetti della società così come si sviluppano nel suo paese. È un’analisi cruda, spesso impietosa che evidenzia la rassegnazione del suo popolo, la incapacità del governo e la mollezza di una borghesia illuminata. Spesso paragona lo stato delle cose e i sentimenti dei suoi connazionali con l’epoca dei Samurai. Uomini fieri, senza paura della morte che anteponevano l’onore a qualsiasi altro nobile sentimento. “Una spada da Samurai, una volta sguainata, non può essere rinfoderata senza aver ucciso, altrimenti la si offende”.
Nella seconda parte del volume Mishima scrive dei veri e propri trattati che individuano nella guerra e nello sport gli unici ambiti in cui prende corpo “l’AZIONE”. Nello sport essa è fine a se stessa e si sublima nel gesto sportivo in cui edonismo e forza fisica si fondono per un godimento personale. Nella guerra invece l’azione trova, per lo scrittore, la sua più alta espressione nel gesto che precede la morte; morte raggiunta in nome della patria ed a salvaguardia del proprio onore.
L'autore non accetta il fatto che il suo paese possegga solo un “esercito di difesa” come imposto dalle forze alleate durante i trattati di pace sottoscritti dopo la fine della guerra. Con i soldi guadagnati dalla vendita dei suoi libri fonda un piccolo esercito di 100 giovani votati all'azione (Associazione degli Scudi) che riesce ad addestrare in strutture militari, durante frequenti stage, con il permesso dello stato maggiore dell’esercito.
Il libro si conclude con un proclama; Mishima leggerà il testo in diretta televisiva dopo aver occupato, con un manipolo dei suoi più coraggiosi accoliti, il ministero della difesa e poco prima di aprirsi il ventre con una lama e farsi decapitare da un giovane membro dell’Associazione (tra l'altro amche suo amante), come nella più rigorosa e antica tradizione Samurai.
Un testo, dal mio punto di vista, strano, a volte delirante ma anche testimone del decadimento di una società (non solo giapponese) cieca e ottusa rispetto ai valori etici, e che ancor oggi non sembra aver raggiunto il fondo. L’universalità di parte dei contenuti va ricercata invece in alcuni concetti che, aldilà delle ideologie politiche e religiose, rappresentano , a mio avviso, la dottrina di ogni movimento integralista e terrorista che abbia preso corpo sulla faccia della terra.
Chissà se mio figlio l’ha letto veramente?
Ultima modifica di Sandro il Dom Ago 25, 2013 5:43 pm - modificato 8 volte.
Sandro- 1° Maresciallo
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Re: HO LETTO, HO ASCOLTATO...
giusto per rivar a 400
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Sandro- 1° Maresciallo
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ci sono stato e mi sono divertito
Gran bella gente !
Ciacio- Moderatore
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Suzuki - 197..e ciàppilo
Incontro con fondamentalisti irlandesi dell'I.V.A. sul lago de Lecco
Ciacio- Moderatore
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SIDDHARTA
È giunto il momento di parlare del libro che narra del piccolo Buddha, così come lo ama definire un caro amico.
Mi riferisco a SIDDHARTA di Hermann Hesse (1877 – 1962)Due parole sull’autore. Il padre era un missionario pietista (branchia del protestantesimo che si oppone, anch’essa, ai dogmi della gerarchia ecclesiastica professando un approccio religioso di tipo interiore ed individuale proteso al misticismo e all’ascetismo), la madre, che era assistente del padre, gestiva anche una piccola casa editrice.
Già dall’infanzia manifesta una propensione all’instabilità psicologica ed una certa insofferenza verso la rigidità paterna.
Hesse ritiene che l’arte sia il mezzo più adatto per la ricerca interiore di se stessi. Influenzato da Nietzsche, dal romanticismo tedesco e dalle dottrine orientali (fondamentale fu un suo viaggio in India interrotto a causa di una potente dissenteria), si definisce un’asceta, mantiene un aristocratico distacco verso le esperienze politiche e sociali del periodo, rifiutandosi di schierarsi a favore di ogni forma di nazionalismo ma anche di pacifismo, riconosce e sostiene principi filosofici esistenzialisti che riconoscono e ricercano la presenza di Dio all’interno di ciascun individuo.Vincerà il premio Nobel grazie soprattutto a quello che è considerato il suo capolavoro: “il gioco delle perle di vetro” (che mi riprometto di rileggere in un futuro prossimo). Spenderà gli ultimi anni della sua vita dipingendo acquarelli.
Era importante questo preambolo biografico per dare un motivo all’ortodossia con la quale l’autore tratta nel libro i temi religiosi e filosofici del buddismo; inoltre spiega il perché del grande successo che questo libro ha avuto tra i giovani, soprattutto della nostra generazione (io posseggo un’edizione del 1979 ed è la 21a ).
Il libro narra del cammino che Siddharta percorre, nell'arco della sua vita, alla ricerca interiore del proprio Io, alla ricerca di se stesso, alla ricerca della pace, per prendere posto nell’Atman.
Figlio di uno dei più stimati Brahmini, ben presto diventa il più promettente dei suoi successori ma, ancora adolescente, si rende conto che la saggezza, la conoscenza, la scienza e la profondità di pensiero, acquisiti fino a quel momento, non avrebbero mai soddisfatto il suo desiderio di scoprire chi era realmente e che la sua vita ne sarebbe, da questo, sempre stata condizionata.
Decide di lasciare la propria casa natia per recarsi sui monti dai Shamana, asceti della montagna, che praticano la meditazione, il digiuno la resistenza, la levitazione dell’anima fuori dal corpo. Siddharta apprende con facilità l’arte di questi sacerdoti dell'anima, ma la meditazione, la pazienza e il digiuno non placano la sua sete.
È così che decide di lasciare anche i monaci della montagna e scende in città dove solitamente andava a chiedere l’elemosina, Li incontra Kamala, una raffinata e bellissima prostituta alla quale chiede di mostrargli i segreti della passione e dell’amore. Ben presto, spinto dalla donna, che in cambio dei suoi doni ne vuole altrettanti e ben costosi, diviene un importante mercante; si dimentica di tutte le qualità e di tutte le sue conoscenze spirituali e si lascia avvolgere dalle spire del mondo materialista.
Gli anni passano e le sue esperienze di amante e mercante perdono quell’interesse e quel desiderio di ricerca che avevano spinto, l'allora giovane Siddharta, a percorrere nuove strade. L’uomo, ormai maturo, si sente ingabbiato; è consapevole che neanche questo sentiero lo condurrà alla verità e così riprende il cammino lasciando Kamala, sua fedele amante, in attesa di un suo figlio. Incontra nuovamente un barcaiolo che l’aveva, anni prima, traghettato sull'altra sponda del fiume.
In lui trova un amico ed un maestro che gli insegna ad ascoltare la voce dell'acqua. Il fiume che si trova ovunque e in ogni istante: alle sorgenti, alla foce, alle cascate, alle rapide, nel mare, in montagna e lungo le sconfinate praterie. Nel fiume c’è solo presente, non c’è ombra di passato e neppure di avvenire.
Rivedrà suo figlio ormai giovinetto. Kamala, in punto di morte, glielo affiderà ma il loro rapporto sarà tormentato e il figlio lo abbandonerà così come lui aveva fatto con suo padre.
Siddharta diventa lui stesso barcaiolo e traghetta tra le sponde uomini e donne di ogni tipo; impara ad ascoltarli, impara ad ascoltare il fiume che gli parla e gli racconta ogni cosa; scopre che è il tempo la causa di ogni pena, di ogni tormento e di ogni paura e si lascia avvolgere dalle mille voci dell’acqua e in esse trova il tutto, l’unità, la perfezione.
È un libro dai mille richiami, c’è la metafora dell’uomo che è alla ricerca di se stesso, alla ricerca di risposte esistenziali e che può trovare solo nella spiritualità ciò che cerca e che nella materialità trova le sue gabbie. Ci sono le contraddizioni, i dubbi e le insoddisfazioni che, di li a pochi anni dalla morte dell’autore, muoveranno milioni di giovani verso la rivolta. Non è una coincidenza che sia nella vita che nel libro, Hesse esprima questo desiderio di ribellione verso l’autorità e le aspirazioni genitoriali.
C’è l’allegoria dell’acqua, il fiume, il mare, la vita. Chi, come noi, ha avuto la fortuna di sentirla, ci racconta che tutto è effimero e tutto è senza tempo, che la vita e la morte sono lì, uniti nello stesso elemento. L’acqua che è ovunque e sempre, l’acqua che è gran parte di noi, l’acqua che è ogni elemento.
Un piccolo passo che mi sembra significativo:
“Il mondo non è imperfetto, o impegnato i una lunga via verso la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in se la grazia, tutti i bambini portano già in se la vecchiaia, tutti i lattanti la morte, tutti i morenti la vita eterna. Non è concesso all’uomo di scorgere a che punto della propria strada sia il suo simile: in briganti e giocatori d’azzardo si cela il Buddha, nel Brahmino può celarsi il brigante. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, e allora tutto è bene, tutto è pefetto, tutto è Brahama. Per questo a me par buono tutto ciò che esiste, la vita come la morte, il peccato come la santità, l’intelligenza come la stoltezza, tutto dev’essere così, tutto richiede solamente il mio accordo, la mia buona volontà, la mia amorosa comprensione, e così per me tutto è bene, nulla mi può far male. Ho appreso nell’anima e nel corpo che avevo molto bisogno del peccato, avevo bisogno della voluttà, dell’ambizione, della vanità, e avevo bisogno della più ignominiosa disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia.”
Aggiungo dicendo che la vita dovrebbe essere un percorso verso una meta, l’importante non è il sapere quale essa sia, l’importante è sapere che c’è per cercare di raggiungerla
Rivedrà suo figlio ormai giovinetto. Kamala, in punto di morte, glielo affiderà ma il loro rapporto sarà tormentato e il figlio lo abbandonerà così come lui aveva fatto con suo padre.
Siddharta diventa lui stesso barcaiolo e traghetta tra le sponde uomini e donne di ogni tipo; impara ad ascoltarli, impara ad ascoltare il fiume che gli parla e gli racconta ogni cosa; scopre che è il tempo la causa di ogni pena, di ogni tormento e di ogni paura e si lascia avvolgere dalle mille voci dell’acqua e in esse trova il tutto, l’unità, la perfezione.
È un libro dai mille richiami, c’è la metafora dell’uomo che è alla ricerca di se stesso, alla ricerca di risposte esistenziali e che può trovare solo nella spiritualità ciò che cerca e che nella materialità trova le sue gabbie. Ci sono le contraddizioni, i dubbi e le insoddisfazioni che, di li a pochi anni dalla morte dell’autore, muoveranno milioni di giovani verso la rivolta. Non è una coincidenza che sia nella vita che nel libro, Hesse esprima questo desiderio di ribellione verso l’autorità e le aspirazioni genitoriali.
C’è l’allegoria dell’acqua, il fiume, il mare, la vita. Chi, come noi, ha avuto la fortuna di sentirla, ci racconta che tutto è effimero e tutto è senza tempo, che la vita e la morte sono lì, uniti nello stesso elemento. L’acqua che è ovunque e sempre, l’acqua che è gran parte di noi, l’acqua che è ogni elemento.
Un piccolo passo che mi sembra significativo:
“Il mondo non è imperfetto, o impegnato i una lunga via verso la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in se la grazia, tutti i bambini portano già in se la vecchiaia, tutti i lattanti la morte, tutti i morenti la vita eterna. Non è concesso all’uomo di scorgere a che punto della propria strada sia il suo simile: in briganti e giocatori d’azzardo si cela il Buddha, nel Brahmino può celarsi il brigante. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, e allora tutto è bene, tutto è pefetto, tutto è Brahama. Per questo a me par buono tutto ciò che esiste, la vita come la morte, il peccato come la santità, l’intelligenza come la stoltezza, tutto dev’essere così, tutto richiede solamente il mio accordo, la mia buona volontà, la mia amorosa comprensione, e così per me tutto è bene, nulla mi può far male. Ho appreso nell’anima e nel corpo che avevo molto bisogno del peccato, avevo bisogno della voluttà, dell’ambizione, della vanità, e avevo bisogno della più ignominiosa disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia.”
Aggiungo dicendo che la vita dovrebbe essere un percorso verso una meta, l’importante non è il sapere quale essa sia, l’importante è sapere che c’è per cercare di raggiungerla
Sandro- 1° Maresciallo
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